sabato 9 gennaio 2016

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

CORRIERE DELLA SERA
"Bloodline" gioiello di Netflix
"Tra le serie originali realizzate da Netflix, la piattaforma online che è sbarcata in Italia un paio di mesi fa, c'è anche «Bloodline», un piccolo gioiello che ha avuto meno visibilità di prodotti come «Narcos» o «House of Cards», ma che merita una visione attenta. Al centro del racconto c'è la potente famiglia Rayburn: i genitori sono proprietari e gestori di un magnifico resort sul mare della Florida, mentre i figli adulti hanno scelto ciascuno la propria strada. C'è Kevin, appassionato di barche; John, detective di polizia, molto assennato e punto di riferimento per tutti i membri della famiglia; Meg, avvocatessa annoiata e inquieta. Ma il vero fulcro del racconto è Danny, la «pecora nera» di casa, dedito a traffici loschi e malvisto da tutti i familiari (fa eccezione solo la madre Sally, mossa dal senso di colpa per il suo fallimento come genitore). L'arrivo di Danny al resort dei Rayburn promette da subito guai: destabilizza gli altri fratelli, tra-smuta i loro caratteri, li spinge sull'orlo del baratro portandoli a compiere azioni estreme che mai avrebbero immaginato. I legami di sangue sono forti, ma il personaggio di Danny è un innesco potente, capace di metterli in questione, risvegliando nei fratelli e nel padre i demoni del senso di colpa e dell'ira per un mistero del passato. I creatori di «Bloodline», gli stessi di «Damages», hanno scelto di costruire il racconto in un modo originale, anche grazie alla libertà dai vincoli del palinsesto settimanale concessa da Netflix (il famoso «binge watching»): la prima puntata si apre con un'anticipazione clamorosa sul finale del racconto e i restanti dodici episodi sviluppano in modo lento e meditato il filo degli eventi che hanno condotto fino a quel punto. Oltre al fascino assolato dell'ambientazione, che pervade tutto il racconto, spiccano le prove eccellenti degli attori protagonisti, tutti perfettamente in parte, soprattutto Danny (Ben Mendelsohn)". (Aldo Grasso, 04.01.2015)

giovedì 7 gennaio 2016

SGUARDO FETISH - C-c-c...Contessa! Lady Gaga sforna cover a ripetizione del nuovo "V" magazine da lei diretto (per un mese). Foto di Steven Klein

martedì 5 gennaio 2016

LA VITA E' UNA COSA SERIAL - Sono strane e anche serial. Viaggio tra le "strambe" delle serie tv (a cominciare dalla "friend" capofila Phoebe)

Articolo di Arnaldo Greco per "Rivista Studio"
Quando ho visto Lisa Kudrow sul palco assieme a Taylor Swift per cantare Smelly cat (“Gatto Rognoso”) ho capito che la rivincita era completata. Non che la cosa non fosse chiara già da un pezzo, ma quell’immagine la rendeva palese. Ciò che resta maggiormente di Friends è Phoebe Buffay. Il resto vivacchia, resiste come eco, come ricordo, al massimo come citazione. Ma di Phoebe è zeppa la televisione di oggi. Si girano un bel po’ di sit-com classiche in cui si continua a usare l’amico strambo come contorno – il tizio con la sensibilità fuori dal mondo che non ha pudore a dire ai protagonisti che il re è nudo ogni puntata, perché fa ridere – ma non mi capita mai di vedere una delle serie tv che “fanno parlare”, quelle che prendono i premi, senza la certezza che a un certo punto uno dei protagonisti mi faccia pensare “pure qui un’altra Phoebe Buffay”.
Durante le oltre duecento puntate di Friends, il bilanciamento tra i vari personaggi non è mai cambiato. Poteva capitare che a uno dei sei protagonisti nascesse un figlio, morisse un parente o perdesse il lavoro, ma gli altri cinque non potevano fare da comprimari. Avevano la loro trama. Striminzita o secondaria nei termini del coinvolgimento emotivo degli spettatori, non come spazio. A Ross nasceva il primo figlio, Joey assisteva al parto di una ragazza madre appena conosciuta, Rachel flirtava con un dottore, Phoebe faceva da paciere tra Ross e la nuova compagna della moglie, etc. Era, però, altrettanto chiaro che il centro dell’azione fosse il salotto di Monica e Rachel (poi Chandler), al massimo l’abitazione di fronte o il locale sotto casa. Tutto orbitava lì attorno. Ci si allontanava un po’, a turno, ma si ritornava sempre lì. L’orbita più distante è sempre stata quella di Phoebe, persino negli episodi in cui abitava in quella casa. Là cercava il saltuario calore della famiglia mentre gli altri, chi più chi meno, cercavano un luogo fisso dove evitare la propria. A volte perfino in maniera un po’ forzata. Tant’è vero che chiunque almeno una volta ha pensato: “Perché è amica di queste persone?”.
Per farla breve ho sempre avuto l’impressione che Phoebe fosse la più sacrificabile tra i sei. Non che non fosse simpatica – era anzi la preferita di molti fan – e spesso risultava essere la cosa migliore di un episodio, ma il suo apporto allo sviluppo della storia, sulla lunga durata, era praticamente nullo (per esempio non troverà la conclusione della “sua” vicenda, unica tra tutti e sei, nell’ultimo episodio. Si sposerà a metà dell’ultima serie mentre tutti gli altri cambieranno la propria vita nelle ultime scene). Abbiamo sempre avuto l’impressione che avesse tanto da dire e niente di raccontabile. Ci piaceva la sua alienità, ma poi ci interessava di più che Ross e Rachel si mettessero assieme o che Monica e Chandler si comportassero da persone serie. O che tutti trovassero un lavoro vero. O che lo trovassero il più tardi possibile in modo da continuare a cazzeggiare.
Avevo torto. Perché oggi delle vite delle Monica e delle Rachel non ci interessa quasi niente. Da quanto tempo non vediamo una serie con un personaggio ordinario come Monica Geller protagonista non lo so neanche. Guardereste una serie su una ragazza maniaca della pulizia che vuole fare la cuoca? La cuoca ancora ancora, ma facciamo che intanto è incinta perché il fratello le ha chiesto di impiantare nel suo utero il figlio che vorrebbe avere con l’anziana professoressa di scuola con cui è fuggito (cosa davvero successa a Phoebe). Una serie su una figlia di buona famiglia che vuole provare a farcela da sola a New York e fa la cameriera in attesa che le si presenti un’occasione? Siamo seri. È troppo poco. Facciamo che uno spirito è migrato in lei così che possa alternare espressioni proprie a esclamazioni dello spirito (altra cosa successa in Friends). O che la mamma s’è suicidata ma – attenzione – lei crede che il suo spirito sia trasmigrato in un gatto (successo anche questo, ovviamente). Ecco che il pitch già suonerebbe più attuale.
Se non vestisse come un personaggio di un film del Sundance in uno sketch del Saturday Night Live non ne guarderemmo neanche il pilota. Ora, non è che voglia sopravvalutare Friends o Phoebe oltre quanto già meritino, dopotutto negli stessi anni dello show cresceva il Sundance che è il vero mandante morale del “quirky”, geniale definizione di qualcosa che sa essere “strano e carino” al tempo stesso (non a caso nell’Urban dictionary “Phoebe” risulta come primo esempio della definizione di “quirky”). Ma Phoebe è stata fondamentale per abituare al quirky quelli che poi avrebbero adorato Dharma & Greg, Miranda July, Little Miss Sunshine, eccetera.
Phoebe ha anche avuto l’obbligato difetto della stanchezza del personaggio: alla nona stagione potevano pure decidere che avrebbe raccolto chewing-gum dai marciapiedi per fare qualcosa per la pace nel mondo (no, questo non l’hanno fatto davvero), ma così ha anche sdoganato quella stanchezza che ci fa passivamente accettare qualsiasi stramberia all’insegna dell’ormai vale tutto. Che dal mio punto di vista è il grande difetto di, per esempio, Unbreakable Kimmy Schmidt, qui messo giù bene in un inaspettato autodafé.

O Transparent, in cui da contorno a Maura che vive il vero conflitto, per cui siamo curiosi di vedere gli episodi, dobbiamo sorbirci le bizzarre avventure senza capo né coda dei tre figli e fingere di credere davvero che una risposta come questa che segue alla domanda «Che cosa mangi?» sia spiazzante o rivelatoria di qualcosa e non solo quirky. (Nota bene: stiamo usando quirky senza alcun significato dispregiativo).
Potrei trovare analoghi esempi pure in Modern Family o in The Last Man on Earth o Parks and Recreation (quasi tutti show che guardo avidamente, intendiamoci, l’intrattenimento davvero scarso è altrove) ma soprattutto Girls che, per me, è l’apoteosi del Phoebismo. Tra le quattro protagoniste ci sono almeno tre Phoebe e nessuna Monica. A malapena una Rachel, cioè Marnie. Le altre: Shoshanna è evidentemente una Phoebe rimasta sotto qualche acido, Hannah è una Phoebe che deve ancora rinunciare all’idea che per stare bene devi combinare qualcosa nella vita e perfino Jessa è chiaramente una Phoebe a cui è stato brutalmente sradicato ogni senso dell’umorismo. Anche perché, dopotutto, noi sappiamo perfettamente come sarebbe una Phoebe senza senso dell’umorismo. Ogni tanto, in Friends, faceva capolino Ursula, la sorella gemella “cattiva” di Friends. Che non era solo una parodia delle gemelle cattive delle telenovelas, ma anche una parodia di Phoebe stessa. Ed ecco qui una scena: ditemi se non è uguale a Jessa, perfino nell’espressione.
Ovviamente per non cadere negli stereotipi c’è anche un quirky maschile. Per rimanere sempre in tema Girls.
O, ancora meglio, Master of None.

Non ho citato tutti questi show per accusarli di limitarsi al “quirky” (tranne forse UKS, quello è solo quirky e basta), ma perché a mio parere personaggi che richiedono una sospensione dell’incredulità perfino superiore a quella richiesta dai Fantastici 4 diventano meno efficaci – è il loro limite – quando l’ambizione sarebbe, oltre a intrattenere, anche quella di raccontare cose “significative”. Da un po’ di anni a queste parte usiamo “superficiale” anche come complimento. Ne capisco il senso. Ma è altrettanto vero che certi show possono essere superficiali e basta, senza alcuna nuova accezione.
Al momento c’è, però, in onda un personaggio che a suo modo rappresenta già una presa in giro del quirky ed è Peggy Blumquist, interpretata da Kirsten Dunst nella seconda stagione di Fargo.
Perché mentre la naiveté dei personaggi citati finora è l’espediente per farla franca sempre e comunque, in qualsiasi situazione, episodio dopo episodio, per Peggy è una condanna (no spoiler, non ho ancora idea di come prosegua la serie mentre scrivo, basta un episodio per comprendere quanto sia una condanna a prescindere dallo sviluppo). La sua stramberia la mette in pericolo, la costringe a mentire, la fa impazzire. È perfettamente in linea con la serie: le storie di Fargo sono piene di stupidi. Ma se il marito è più simile agli stupidi della prima stagione, stupidi evangelici, del tipo “beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli”, la stupidità di Peggy, invece, è negativa. È un quirky antipatico. Che sia, però, l’anticipo di una nuova tendenza è forse più una speranza che una possibilità.

lunedì 4 gennaio 2016

GOSSIP - Non per soldi ma per Danè(s)! L'attrice di "Homeland" in posa (controvoglia? dalla faccia...) per "The Edit"

"Il trivial game + divertente dell'anno" (Lucca Comics)

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Lick it or Leave it!

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