martedì 18 novembre 2014

L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri

LA REPUBBLICA
Rai, Mediaset e Sky: la sfida si fa serial aspettando Netflix
"Per la televisione in crisi l’ultimo business è la fiction. Sparito il cinema di genere, sono Gomorra, Romanzo criminale, Don Matteo, Montalbano, House of cards a dominare sul piccolo schermo. Nella sola stagione 2014-2015 la fiction supererà sulle reti generaliste le 6mila ore di programmazione: un mercato enorme, nel quale si muovono pochi produttori che si contendono ascolti e incassi in una battaglia che è la vera nuova frontiera della televisione. C hi vince comanda e in cassa fa il pieno, orientando anche le strategie delle reti. I padroni del mercato Nel mondo i primi tre produttori di serie sono Endemol (colosso acquisito da Murdoch dopo l’uscita di Mediaset nel 2012, con 80 società operative in 26 Paesi del mondo, con circa 1,4 miliardi di euro di fatturato) Fremantle Media (che fattura circa 1,7 miliardi di euro) e Zodiak (con un catalogo di 20mila ore, oltre 600 milioni di euro di ricavi prodotti nel 2013). Senza dimenticare Hbo (sigla di Home Box Office), di proprietà della Time Warner una delle emittenti tv via cavo più popolari degli Stati Uniti, con oltre 32 milioni di abbonati con un fatturato di 1,3 miliardi di dollari. Tra le serie d’autore I Soprano, Girls, Veep, Boardwalk Empire. E il fenomeno Netflix, servizio online di contenuti in streaming che ha realizzato uno dei prodotti migliori dell’anno, House of cards e il rivoluzionario Orange Is The New Black. Presieduta da Reed Hastings, ha visto crescere il fatturato a 4,4 miliardi di dollari. La La produzione di fiction italiana vale intorno ai 300 milioni di euro.
Una torta che in Rai si spartiscono cinque società esterne, le cosiddette «cinque sorelle», che assorbivano parte consistente del bilancio della tv pubblica per fornitura di contenuti. Ai primi tre posti: la Lux Vide, la Fremantle Media e la Publispei. La fiction salva la tv generalista, ma non è stata risparmiata dalla crisi: nel 2008 Rai e Mediaset investivano oltre 500 milioni di euro, che si sono ora ridotti a 300, ma l’industria dell’audiovisivo resta un business importante con i suoi 70mila addetti. Dei 300 milioni si può valutare che circa 220 vadano alla produzione indipendente. Infatti, mentre la Rai investe solo su società indipendenti, Mediaset opera prevalentemente attraverso società di sua totale o parziale proprietà. Le produzioni italiane hanno un problema di costi e di risorse. Il costo medio orario della fiction generalista alta è al di sotto del milione. Sono le tv, acquisendone quasi in toto i diritti che finanziano la maggior parte, mentre la quota che si recupera dal mercato internazionale è inferiore al 10%.
Il volume di investimento di Sky non è dell’ordine di grandezza di quello di Rai e Mediaset. Le generaliste richiedono attori noti e costosi; Sky può invece puntare su attori bravi ma meno conosciuti. Però, facendo parte di un grande gruppo internazionale, può contare su una percentuale di ricavi esteri molto più elevata. Per Romanzo criminale è stata del 30%; per Gomorra del 35% circa; per Zero zero zero si prevede oltre il 60%. Un futuro targato Netflix. I giovani usano il computer, il palinsesto è «su misura». Netflix, il servizio che sta rivoluzionando la tv, forte di 60 milioni di abbonati nel mondo, dovrebbe sbarcare in Italia alla fine del 2015. House of cards con Kevin Spacey è la prima serie distribuita superando il concetto di palinsesto: 13 episodi messi online lasciando agli abbonati la scelta su come vederli. «Credo che sia il cambiamento più profondo» ha spiegato Ted Sarandos, 48 anni, presidente per i contenuti alla Netflix. «Chi scrive per noi sa che dovrà scrivere una cosa più simile a un film di 13 ore». Ma la vera rivoluzione è nell’organizzazione e nel sistema di selezione delle storie su cui puntare. Spiega Sarandos: «È molto meno rischioso produrre così che realizzare 50-70 piloti all’anno - in gran parte buttati - come fanno i network». Il budget annuale per i contenuti è di 2 miliardi di dollari, il 10% dei quali destinato alla programmazione originale. Basteranno una decina di euro per avere a disposizione tutte le serie sul proprio televisore o sul tablet. Finora le tv italiane sono rimaste al riparo da Netflix per il ritardo della rete a banda larga italiana: senza una buona connessione Internet, infatti, la qualità dello streaming si riduce. Ma questo ritardo ha dato la possibilità ai concorrenti italiani di guadagnare tempo. «Siamo tranquillissimi» risponde Andrea Scrosati, executive vice president programming di Sky Italia «la nostra offerta in streaming già esiste, naturalmente i diversi operatori si differenzieranno per il prezzo ma soprattutto per i contenuti. Le serie italiane sono motivo di orgoglio: Gomorra è stata venduta in 105 paesi, stiamo producendo la serie di Paolo Sorrentino sul Papa. Il pubblico vuole la qualità».
«L’arrivo di Netflix - ribatte Lorenzo Mieli, ad di Fremantle Media Italia - è favorito dal lavoro immenso che ha fatto Sky in questi anni: lo spostamento dal cinema alla televisione non riguarda solo la tv, è un fenomeno gigantesco. Ci sono società che hanno fatto solo cinema e che si stanno riconvertendo, è un mercato enorme, in crescita. Netflix ha un modello di business tutto suo: acquisice il 100% dei diritti ma paga il producer fee, una tariffa molto alta rispetto all’Italia. Potrà essere possibile fare fiction italianissime che viaggiano nel mondo». Le strategie. «Quanto serve la fiction al Paese e quanto aiuta a forgiare un’identità? » si chiede Marco Follini, presidente dell’Apt, l’associazione dei produttori televisivi. «L’industria va difesa ma c’è ancora molto da fare. Dal momento in cui la Rai esprime interesse per un progetto al contratto esecutivo passano mesi. Questa catena burocratica deve essere accorciata. L’aver aperto alla possibilità di presentare progetti online mi sembra una misura di trasparenza apprezzabile. Ma si deve intervenire anche sul trattamento dei diritti, oggi penalizzante: contestiamo la cessione in perpetuo e vanno tutelati i margini di autonomia e indipendenza delle produzioni esterne». Se migliaia di turisti italiani e stranieri hanno scoperto la Sicilia grazie a Montalbano e si moltiplicano le gite in Umbria per ripercorrere le strade di Don Matteo, le varie Film Commission dalla Puglia al Piemonte al Trentino Alto Adige, lavorano per promuovere il territorio attraverso la fiction. «È un circolo virtuoso» spiega Eleonora «Tinny» Andreatta, capo di Raifiction, 200 milioni di euro di budget (400 ore di fiction e più di 100 ore di cartoon). «Cerchiamo di differenziare l’offerta spiega - per parlare a molti pubblici. Abbiamo sostenuto la politica del girare in Italia, per valorizzare il nostro territorio. I soldi spesi nella produzione italiana tornano moltiplicati al Paese. Grazie al tax credit l’Italia può diventare un centro di produzione internazionale. Ora puntiamo anche sul Web: “Braccialetti rossi” insegna che l’attività dei social network funziona e il Web riporta il pubblico giovane davanti alla tv». Antonino Antonucci Ferrara, a capo della fiction di Mediaset, fa i conti coi tagli: «Abbiamo soldi per fare un centinaio di serate. Rispetto agli americani non c’è discussione, lì oltre alla genialità degli autori c’è una spesa per il prodotto che supera i 5 milioni di dollari a puntata. Abbiamo abbassato i costi, i budget non sono più quelli di una volta. Ma è un momento buono per la creatività, puntando sui giovani sceneggiatori e coinvolgendo i produttori di cinema». Gli investimenti di fiction di Rai e Mediaset dal 2008 a oggi: la crisi ha colpito l’industria. Nel 2014 il budget si attesta sui 300 milioni. La fiction italiana è soprattutto legata alle produzioni più popolari, non stupisce quindi che a guidare la classifica dei titoli più visti siano tutte produzioni di RaiUno. In testa la serie interpretata da Terence Hill". (Silvia Fumarola, 17.11.2014)

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